Nicola Zengiaro ha dedicato al lavoro da artigiana orafa di Magal un capitolo della sua tesi di laurea magistrale in Scienze Filosofiche all' Università di Verona in cui ha preso 110 e lode.
Margherita, onorata e commossa, lo ringrazio con tutto il cuore.
Qui potete leggere l' estratto della sua tesi " La Semiotica dell'ambiente. Una proposta teorica per indagare il segno."
«Alcuni elementi necessari al regolare funzionamento del corpo umano si trovano nelle sostanze inorganiche o minerali. Abbiamo circa 60 elementi minerali distribuiti nel nostro organismo, 22 dei quali sono considerati assolutamente necessari per la salute.
I minerali costituiscono circa il 5% del peso corporeo dell’essere umano. Sono sostanze che possediamo naturalmente nell’organismo ma, siccome il nostro corpo non le assimila, quando scarseggiano dobbiamo ingerirle. I principali minerali, ordinati secondo la quantità presente nel nostro corpo, sono: calcio, fosforo, potassio, zolfo, cloro, sodio, magnesio, ferro, zinco, iodio e fluoro, mentre altri come rame, manganese, selenio e molibdeno si trovano in minore quantità». (National Geographic 2020: 20)35
Durante la stesura della presente tesi mi sono interessato ai minerali e alle pietre, sia per una indagine teorica sia per compensare una mancata praticità del lavoro scritto. Ho contattato un’artigiana per poter lavorare con le mie mani alcune pietre e minerali preziosi. Durante questa mia ricerca pratica, ho potuto svolgere delle interviste a chi la materia inorganica la lavora, costruendo negli anni un rapporto tra ciò che l’artigiano può fare e quello che la materia gli permette di fare.
Esiste una sottilissima relazione che si instaura tra chi lavora la materia e la materia stessa. Nelle interviste svolte, infatti, gli artigiani hanno affermato di provare una silenziosa lavorazione da parte della materia stessa su di sé. Spesso, in riferimento alla
meteorologia, così come allo stato d’animo dell’artigiana, il materiale tende a lasciarsi lavorare o a porre alcune resistenze. La manualità con cui gli artigiani lavorano la materia grezza, detiene entro sé la possibilità di esperire in prima persona la relazione con l’inorganico e le influenze che esso riceve dall’ambiente e gli incontri. Lavorando in modo artigianale l’inorganico, come potrebbe essere per esempio l’argento, si comprende perfettamente quando un materiale pare essere più o meno predisposto alla lavorazione.
Si sottende, in tal modo, che ci sia una risposta alla progettazione e che tale risposta non provenga solamente dalla domanda “cosa può un corpo?”, ma altresì da “cosa, noi corpi, possiamo con altri corpi?”. La domanda non si erge sulla coscienza che retrospettivamente domanda a se stessa cosa può fare in relazione alla materia, bensì domandare alla relazione che si instaura che cosa può fare. È la relazione che va interrogata, al di là degli elementi di cui essa si compone. Chiedere ai corpi che cosa essi possono fare, significa fermarsi su di una individualità che è divenuta una singolarità37. Tuttavia, interrogare a questo proposito la relazione come termine singolare, significa spostarsi sulla composizione e comprendere a partire da essa i termini su ciò che hanno potuto fare qui e ora.
Un corpo, lo sappiamo, non può sempre attuare al medesimo modo (basta pensare alla decadenza del corpo nella vecchiaia o nella malattia). Però la relazione ci può dare una risposta su ciò che ha potuto quel corpo a partire dalle sue capacità attuali. In altre parole, invece di sapere che cosa può un corpo, e poi scoprire se questo suo poter fare- essere si è composto o decomposto in relazione ad altro, possiamo domandarci non solo cosa può attualizzare la relazione tra due corpi, ma altresì domandarci che cosa hanno potuto quei corpi in quel dato momento - e non in assoluto o in un frangente di tempo. Se dovessimo domandarci con legittimità “che cosa può un corpo?”, dovremmo chiedercelo in ogni istante perché la relazione che esso intrattiene con se stesso e l’ambiente è determinato su contrazioni e distensioni che sono in costante divenire.
Inoltre, chiedersi “che cosa può un corpo?” porta a domandarsi: in relazione a cosa? Cosa può in sé, staccato da ogni elemento circostante, come una monade solipsistica astratta e le sue capacità? Oppure bisogna chiedersi che cosa può un corpo in relazione a qualcosa d’altro (una pistola come una tempesta, un amore, la morte).
Quando si interroga la relazione si interroga un nodo all’interno di una maglia, qualche cosa che si è già dato, nonostante poi si rimetta in moto in altre relazioni. Interrogare il nodo, significa sì bloccare in qualche modo la relazione eterna che intrattiene la materia, ma vuol dire anche poter prendere atto di un’attualizzazione che prima non esisteva e che è emersa a partire da termini eterogenei. Con questo vogliamo in realtà portare l’attenzione sul fatto che interrogare la relazione invece dei termini significa domandarsi che relazione è l’umano, cosa può la molteplicità che si intreccia in un nodo assai labile come l’individuo umano. In tal senso, se intendessimo prendere atto dell’umano come relazione di una molteplicità, dovremmo prendere atto anche dell’inorganicità che ci compone.
Quindi, proponiamo di seguito due termini che ci possono aiutare nell’interrogare la relazione in sé. La prima, riguardante la materia organica, possiamo definirla attraverso la nozione di compenetrazione esistenziale. Quella che concerne la materia inorganica, invece, la chiameremo stratificazione esistenziale. La loro relazione sarà una compenetrazione stratificata della vyta.
Essere nel mondo, per un umano come per una pietra, significa innanzitutto essere catturati da una relazione di immanenza reciproca. Non è tanto tra una cosa ed il mondo che si instaura tale relazione, ma tra le cose. Quando la dicotomia soggetto-oggetto, vita-nonvita cade, scopriamo che ogni azione è interazione, che ogni influenza è una interpenetrazione. Inoltre, poiché la relazione non può che avvenire tra oggetti eterogenei tra loro, significa che il luogo che ci ospita, la Terra stessa, non è che un oggetto che si compone, attraverso una costante compenetrazione stratificata, dei suoi elementi. E, propriamente per l’impossibilità di sciogliere gli elementi dell’ambiente mescolati tra loro, è possibile concepire ogni cosa come un ambiente. Certamente con differenti consistenze, organizzazioni, forme.
«Si potrebbe dire lo stesso della materia: essa non è ciò che separa e distingue le cose, ma ciò che ne consente l’incontro e la mescolanza. Essa non si riduce semplicemente allo spazio d’inerenza di una forma nel mondo. Piuttosto, attraverso di essa tutto è in tutto, niente può separarsi dal destino del resto, tutto si lascia attraversare dal mondo e può, quindi, attraversarlo». (Coccia 2018: 91)
Note:
35 National Geographic, “Minerali e gemme da tutto il mondo”, 2020.
37 Molto banalmente, in riferimento al pensiero di Deleuze, l’individuo è un composto, un intreccio di corpi e passioni, la singolarità, invece, è il suo laboratorio preindividuale di formazione. La singolarità non coincide con l’individuo, ma lo precede e lo costituisce.
39 La loro differenza dipende dal fatto che la grafite presenta atomi di carbonio disposti secondo maglie esagonali su piani legati da deboli forze, mentre il diamante ha una struttura compatta con intense forze attrattive fra gli atomi. Inoltre, le loro proprietà dipendono dall’ambiente entro cui si formano: la grafite si origina a poca profondità e dove la temperatura e la pressione sono basse; il diamante prende forma a notevoli profondità e in condizioni di temperature e pressioni molto alte. Si tratta in tutti in casi di polimorfismo.
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